Natalia Bondarenko è un’artista e fotografa nata a Kiev (Ucraina) e cresciuta in una famiglia d’artisti. Nel 1990 si trasferisce in Italia ed attualmente vive e lavora a Udine.
Si occupa (grazie a sua nonna) di fotografia fin da piccola, ma negli ultimi anni è cresciuto il suo interesse verso il ritratto in bianco-nero. È creatrice del “bw_relative” (una serie di monochroni). In generale predilige fotografare le persone o i posti di aggregazione.
Nel 2013 è nato il suo progetto “STRAvolti” che non è soltanto un progetto fotografico ma è un progetto a ‘lunga scadenza’, una sorta di ‘conservazione’ di sentimenti, emozioni, pensieri nascosti che travolgono i nostri volti;
Natalia è innanzitutto artista e poi fotografa e poeta: il suo racconto parte dalla regione dove vive (Friuli-Venezia-Giulia), dall’ambiente artistico che conosce, per sfatare il mito dell’artista misterioso e irraggiungibile.Da sottolineare come agisca con stile ben preciso, fotografa gli artisti fuori dai loro studi e nelle situazioni della quotidianità esistenziale. Ed è sorprendente il lato ironico che traspare dalla maggior parte dei suoi scatti, caratteristica già rilevata in molte sue poesie.Ecco l’intervista
1) Quando nasce la passione per la fotografia e come hai iniziato?
Ho iniziato per caso. Crescendo in una famiglia di artisti, si aveva anche questo piccolo hobby. Negli anni del comunismo solo poche persone possedevano macchine fotografiche analogiche. Esisteva soltanto la fotografia classica: ritratto, ritratto di gruppo e paesaggio industriale o cittadino. A volte, qualche fotografo-professionista scattava qualche foto di festeggiamenti vari, delle parate o altri eventi più o meno importanti. Io, invece, ero incollata a mia nonna, una scienziata-fisiologa che non andava mai in giro senza la sua vecchia Zenith nella borsetta, e non disdegnava di fermarsi ogni qual volta quando trovava qualcosa di interessante da immortalare. Ricordo come fosse oggi le mie ‘corse’ nel giardino botanico a fotografare tutti i tipi di rose… È stato il mio primo approccio con la fotografia. Avevo 9-10 anni. Dopo la sua morte, la sua camera oscura si è trasferita a casa mia e a quel punto sono iniziati i miei esperimenti: la sovrapposizione degli scatti, la ricerca artistica (anche se a 14 anni non pensi di farlo con uno scopo, lo fai per puro divertimento). Per la mancanza di spazi, tenevamo la camera oscura nel bagno e per sviluppare le pellicole aspettavo la notte, sotto le coperte della mia camera da letto. Deprecavo abbastanza per la scomodità di infilare la pellicola nella scatola per lo sviluppo (a volte il risultato era talmente scarso che mi veniva da piangere dopo una notte passata a lavorare sul rullino). E probabilmente questo fatto mi ha allontanato dalla fotografia, perciò crescendo ho perso il passaggio verso la fotografia a colori ed anche la passione, occupandomi di tutt’altro. Una cosa strana: ricordo tutti gli insegnamenti di mia nonna e non ricordo i paramenti delle mie due Canon comprate solo qualche anno fa…
2) Quali sono state le tappe per diventare una fotografa ritrattista?
Dal 2000 ho iniziato a lavorare come artista: frequentando ambienti o eventi, fiere, mostre, sono entrata in un’altra dimensione. Ho notato che ormai la fotografia in occidente è parte dell’arte e mi sono incuriosita… e di brutto. I primi scatti sono stati quelli di lavoro: le mostre personali, il pubblico, qualche amico-pittore, i workshop fra gli artisti. Ho notato da subito un risultato che allora mi sembrava notevole. Parlando con alcuni amici-fotografi mi confermarono una mia certa capacità di ritrarre le persone, probabilmente anche grazie ad una quantità di scatti sproporzionata ai risultati… come se il mio intento fosse cogliere il momento giusto, l’attimo preciso nel quale un’immagine può diventare qualcos’altro, ad esempio, un’emozione.
Anni fa non mettevo mai le persone in posa, mi mettevo davanti a loro e parlavo, li provocavo, li tenevo vivi, scattando immagini una dietro l’altra. Così, conoscendo molti artisti e pensando ad un libro dedicato completamente a queste persone, è nato il progetto STRAvolti che non è soltanto un progetto fotografico, ma anche progetto giornalistico: girando per gli studi, scattavo migliaia di foto e facevo interviste registrate. È stato allora che ho deciso dedicarmi al ritratto avendo però anche altre prerogative. Infatti non mi ritengo una ritrattista.
3) Parlami del tuo progetto “STRAvolti”
Nasce nel 2013. È un progetto a ‘lunga scadenza’, una sorta di ‘conservazione’ di sentimenti, emozioni, pensieri nascosti che travolgono i nostri volti; volti che non riusciranno mai a nascondere il vissuto, compreso la gioia o il dolore, la rabbia o lo stupore. Il mio racconto parte dalla regione dove vivo (Friuli-Venezia-Giulia), dall’ambiente artistico che conosco, magari proprio per sfatare il mito dell’artista misterioso e irraggiungibile, con il basco e il pennello in mano davanti al cavalletto con un quadro da finire. Come dicevo prima, andavo per gli studi degli artisti, prima – dei miei amici, dopo – col passaparola, sono riuscita ad entrare in contatto con artisti nuovi; sono tutti pittori del Friuli Venezia Giulia, molti di loro sono molto affermati ed anziani, alcuni di loro ‘mitici’, Bruno Barborini e Luciano Lunazzi che sono morti due anni fa. (Avere materiale su queste due persone mi rende quasi orgogliosa). All’epoca non sapevo ancora che impostazione avrebbe preso questo progetto. Scattavo migliaia di foto e le migliori le mettevo da parte. Non le pubblicavo da nessuna parte e aspettavo il momento giusto per presentarle. Nel 2014 sono riuscita ad organizzare la mia prima mostra fotografica personale a Udine ed era dedicata a questo progetto. Ricordo che più che la qualità, selezionando le foto, cercavo lo spirito giusto in ogni espressione, una caratteristica unica di quella persona, un loro vissuto fra le rughe, nelle pupille, cercavo i segni espressivi che smuovono la staticità. È stato un lavoro più che creativo. Mi è capitato una volta che poiché non riuscivo a fare un bel ritratto di un amico per niente fotogenico, allora lo obbligai a raccontarmi una barzelletta (lui era famoso nell’ambiente artistico per la quantità esuberante di barzellette che conosceva), dopo di che creai un panello enorme con una ventina di scatti, uno dietro altro, che si chiamava “Barzelletta”. Qualche scatto non sono riuscita a concluderlo come mi sarebbe piaciuto, ma la mostra ha avuto un strano ritorno: dopo circa due mesi mi hanno invitato ad esporre presso lo SME (reparto fotografia) sia per presentare il mio lavoro fotografico, sia per la qualità degli scatti, che ho scoperto (grazie ad alcune recensioni) per molti era buona. Ma per fare un libro ritengo che il mio progetto non è ancora completo… e chissà quando avrà fine? Il modo artistico si rinnova ogni anno e fra poco, probabilmente, dovrò chiamarlo “Infinito”.
3) Ho visto e letto che prediligi il Bianco e nero nei tuoi scatti: cosa credi renda così particolare questa tecnica e perché fa parte del tuo stile?
Il B/N non è semplice. Come ho detto prima, da piccola lo odiavo. Da vecchia lo amo. E quando mi fanno questa domanda (e me la fanno molto spesso) dico sempre che non tutte le foto possono rendere in B/N. Per capirci meglio vi faccio un piccolo esempio: all’inizio del secolo scorso molti pittori europei si trasferivano a Parigi per studiare le regole della luce. Cioè, quello che attira in una opera d’arte figurativa è la luce. E chiaramente l’ombra. Per attirare l’attenzione di chi guarda, esiste il gioco fra luce e ombra (parlando in maniera primitiva). La foto in bianco-nero ha qualcosa di simile, ma più rognoso: non avendo il colore, fra bianco e nero vive il grigio. Il grigio è terribile se non si crea una certa armonia nello scatto. Certo che oggi si può modificare la foto con Photoshop (benedetto Photoshop!), ma non sempre si può intervenire in maniera soddisfacente. Perciò, alcune foto rimangono a colori, ma non del tutto. Io odio il verde. È un mio problema personale con un colore ritenuto banale. Lo uso raramente, solo se non si può farne a meno. E se si può eliminare, lo elimino con Lightroom, creando un certo monocromatismo che da un lato fa sembrare la foto a colori, ma in realtà ha due-tre colori soltanto (perché eliminando il verde, elimino anche il blu). Questo vale per alcune immagini che in B/N non funzionano. Ma quando funzionano, si cerca una discreta armonia fra bianco e nero. Perché non attira il nero, ma il bianco. E la forma (soggetto, oggetto)… o deve essere bella o completamente brutta. Non esiste un livello medio, non ha senso. Il livello medio è banale. In B/N non funziona. Invece il ritratto (per me) deve essere sempre in B/N. È molto elegante, prezioso e affascinante. Poi tocca al fotografo decidere lo sfondo che è importantissimo per una foto in bianco-nero. C’è anche un lato simpaticamente positivo per chi si approccia con la fotografia: se uno scatto a colori è brutto, trasformandolo in bianco-nero riesci ad eliminare alcune imperfezioni: ho fotografato un sacco di eventi senza luce e senza possibilità di usare un flash che in B/N risultavano una bomba. Concludendo, il colore distrae. B/N (per me) ha una potenza maggiore.
5) Qual’è per te il concetto di “Fotografia” oggi?
Io penso che oggi come oggi abbiamo tre tipi di fotografia: la fotografia classica, la fotografia artistica e la fotografia dilettantesca. Io prediligo la seconda. La differenza con la fotografia classica è fondamentale: se la fotografia classica possiede certi canoni, regole e similitudini, la fotografia artistica deve avere un suo stile ben riconoscibile. Quando noi andiamo in una fiera d’arte e vediamo alcuni pittori, li riconosciamo subito: per la pennellata, per il soggetto, per la tecnica, e così via… La fotografia artistica ha le stesse componenti. Basta citare alcuni come Roberto Kusterle, Jean Turcò o Oliviero Toscani. Insomma, ci sono i fotografi le cui immagini possono essere non firmate, ma sappiamo bene a chi appartengono).
È la via che sto percorrendo, la ricerca che sto facendo quotidianamente – la creazione di uno stile tutto mio, anche se l’impresa è molto tortuosa perché quando usi alcuni passaggi con Lightroom o Photoshop devi usarli bene, in maniera che chi fa il tuo stesso lavoro non si accorga di come è fatto. Gli interventi devono essere bilanciati al massimo. Perché la linea che io chiamo bn_relativo (si può trovare anche su Instagram sotto #bw_relative) necessita dell’intervento di un colore, direi, una sfumatura e non su tutta l’immagine. È un effetto artistico che aggiungo per lasciare una mia piccola traccia, un mio segno, la mia impronta su una fotografia bianco-nera.
6) Se dovessi dare un consiglio ad un fotografo alle prime armi, cosa gli diresti?
Prima di iniziare a fotografare, studiate la composizione. Se no, farete migliaia di scatti orrendi! (Certo che ci sono i geni con un fiuto particolare per la fotografia, ma io in questa versione ci credo poco). Per il resto, posso dire, che tutti i miei studi precedenti, con la macchina digitale, si sono rivelati quasi inutili perché le macchine moderne fanno un sacco di cose meglio della nostra conoscenza. Me lo dice l’esperienza. Importante è conoscere bene la propria macchina fotografica e saperla usare. Ricordare che la macchina fotografica ama la luce: meglio più che meno, ma anche se c’è poca luce (io non uso quasi mai il flash) cercare di inquadrare (anche lateralmente) un punto di luce. Comprare il programma Lightroom per la elaborazione in RAW, tutti i fotografi professionisti devono averlo. E studiare la fotografia. La sua storia. Guardando i grandi maestri, pensare dove volete andare, dove volete arrivare… Si può iniziare con piccole cose, con piccole passioni, le passioni private, i viaggi, il quotidiano… (Pensate che io anche quando vado a fare la spesa, nella mia borsa, porto sempre 2 kg di macchina fotografica, per qualsiasi evenienza. Le foto più belle le ho scattate nei momenti più strani: uscendo dal negozio, andando lavorare, tornando a casa. I tramonti non vi aspettano, le nuvole minacciose arrivano quando non aspettate il mal tempo, una bella persona vi capita all’improvviso, devi avere tutto a portata di mano per non pentirsi) Se invece volete fare i fotografi professionisti, dovete studiare, studiare e studiare, anche se fotografie-cartoline, da come ho capito, sono capaci di farle tutti. E sono anche più popolari. Decidete voi.
7) Sogni nel cassetto da realizzare?
Mi piacerebbe realizzare il mio libro dedicato al progetto STRAvolti. Per il resto, nella vita, se capitano le occasioni giuste, bisogna coglierle al volo. Certo che mi piacerebbe avere una macchina fotografica che pensa per me, che decide per me e mi elimina gran parte dei pensieri prima di fare ogni scatto. E un buon obbiettivo per qualsiasi occasione, molto luminoso e leggero. Insomma, mi piacerebbe avere qualche decina di migliaia di euro da investire in attrezzature. Ma ricordo sempre le parole di alcuni miei amici fotografi di un certo livello: non è la macchina che fa di te un fotografo, ma la tua sensibilità artistica. Perciò, spero che in futuro essa non si perda.
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